[1]In una giungla tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene
In occasione della mostra itinerante del leggendario fotografo Peter Lindbergh e IWC Schaffhause (in foto), orologiera svizzera fondata oltre 140 anni fa, per catturare lo spirito di La Dolce Vita e la vera eleganza di Portofino nel 1960, una serie di impressionanti fotografie in bianco e nero.
Non ci sarà mai più un film in grado di far esplodere e dividere pubblico e critica come fece, da quel 5 febbraio 1960, La dolce vita di Federico Fellini. Un titolo storico. Una data storica. Un capolavoro, comunque lo si giudichi e il primo film italiano di 3 ore: dopo il cimema non fu più lo stesso. Fellini divenne, rimanendo a lungo, il regista più famoso e chiacchierato del mondo. E se la critica, quasi compatta, applaudì un film strepitosamente innovativo e personale, fu la morale italiana che entrò in crisi. Attacchi ufficiali del Vaticano, difesa a oltranza invece del cardinale Siri e di altri gesuiti illuminati come padre Arpa, autore di un volumetto bellissimo sul film, una discesa nella società “dello spettacolo” negli innovativi anni ’60, premonizione sugli usi e costumi che poi sarebbero diventati di massa. Così come entrarono nel lessico non solo il titolo, La dolce vita, ma anche altri termini come paparazzo mentre la parola orgia, fino ad allora era pronunciata sottovoce, entrò di diritto nel vocabolario.
La storia è quella del giornalista Marcello Rubini che vive, soffre e osserva, dall’epicentro di una via Veneto ricostruita splendidamente in studio da Piero Gherardi, ma resa leggendaria tanto da diventare meta turistica, la mondanità del dèmi monde romano, passando da stanco cronista a press agent stipendiato. Premonizioni, scandali, cronaca, rivissuti in modo visionario, fantastico, con un linguaggio rivoluzionario fra la diva divina Anita Ekberg che fa il bagno nella fontana di Trevi e le feste notturne nei castelli dei nobili, tra l’amico intellettuale in crisi Steiner e il finto miracolo della Madonna, tra la visita del padre e la festa finale, tutto divenne subito proverbiale. Espresso con una vitalità barocca, in capitoli quasi separati ma uniti dallo sguardo etico e circolare dell’autore, il film, magicamente musicato da Nino Rota, divenne un termine di paragone, un punto fermo del costume. E, come tale, figura omaggiato in altri film, da Divorzio all’italiana a C’eravamo tanto amati.
Non aveva quasi un vero soggetto, se non l’esperienza del protagonista testimone fino a un finale aperto e metaforico, con l’enorme e mostruoso pesce ritrovato all’alba sulla spiaggia, che non promette niente di buono. Fu un affresco che colpì l’immaginazione popolare a ogni grado di sensibilità e cultura: soprattutto per il sesso ma anche per il baratro di paura incoscia che lasciava scorgere. Da questo film, il grande Mastroianni, in spider e occhiali neri, fu lanciato in tutto il mondo come simbolo di un latin lover aggiornato ai tempi, con tutti i complessi dell’educazione cattolica italiana. Accanto a lui c’e’ un cast che non finisce di stupire: oltre alle donne meravigliose e brave di Fellini, da Anouk Aimée a Yvonne Fourneaux, da Magali Noel all’Anitona che restò impigliata in quel ruolo, una serie di comparse di lusso: da Celentano che canta il rock alla Betti e Orsini che assistono all’orgia, dall’ex Tarzan Lex Barker al grande clown Polidor, oltre al paparazzo Walter Santesso con la macchina fotografica a tracolla.
Visto col senno di allora, La dolce vita, premiatissimo a Cannes e poi ovunque, fu davvero un miracolo e una rivoluzione di codici, senso e linguaggio: discussioni, denunce, ostracismo e i dibattiti nei cineforum, i salotti che non parlavano d’altro. Finalmente un Fellini che diventava testimone del suo tempo; le sue incredibili immagini, i suoi pregnanti sguardi, le sue ellissi narrative sono diventati patrimonio del nostro profondo e radicato inconscio cinematografico.
Spezzare con le ali dell’incertezza la meraviglia della tua essenza.
Là, dove spazio e tempo si annullano, dove i pensieri volano liberi, dove i sogni diventano realtà, c’incontreremo. Senza implorare, senza pretendere, riscopriremo la suprema felicità, in un attimo di armonia sublime. Vieni, ti guiderò nel più dolce sentiero della vita.
(Guido e Luisa)
[1] Italia 1960, di Federico Fellini
con Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée, Alain Curry
In sottofondo: Nino Rota, Guido e Luisa
Fotografia, Peter Lindbergh
© Tutti i diritti riservati
e pensare che quel film fu fischiato …
Quando l’Italia faceva il cinema…