[butterò questo mio enorme cuore fra le stelle un giorno giuro che lo farò]

Eccettuate l’ore dell’allenamento e dello spettacolo, tutto il resto del tempo ch’essi passavano coi piedi sulla terra come i comuni mortali, i due trapezisti erano, e si sentivano, sorvegliati, sordamente avviluppati in una rete pieghevole, tenace, esasperante, di sguardi, accenni, sospetti. Finché imbracciate le funi, s’arrampicavano lassù, a trenta metri, ai loro anelli e ai loro trapezi.

Entravano e si chiudevano nella propria sfera tecnica. Si sarebbe detto ch’erano liberi e felici soltanto in qurgli slanci e voli raccapriccianti, dove l’errore d’un capello poteva essere fatale. Si sarebbe detto che cominciavano a vivere solo in braccio alla morte.
In gran parte, il circo si reggeva sui due trapezisti. Senza di loro, sarebbe ancora stato un buon circo, ma come ce ne sono mille. C’era disciplina; tutti facevano il proprio dovere. Come se poi col pubblico bastasse fare il proprio dovere. Ma c’era qualcosa in più ed era quello che contava. Per questo di più certuni danno la vita. Nel circo questo di più nessuno poteva darlo; se non i due trapezisti. Gli altri rappresentavano l’applicazione, il talento. I due trapezisti erano il genio.

Ma se il genio, per sue particolari ragioni, un giorno avesse drizzato l’ala per altri luoghi, altre sorti?
Sui cartelloni, i due trapezisti erano presentati come “COPPIA X”. Non fosse stato un po’ di curva, che il litografo si credeva in obbligo d’accentuare sul petto delle due figure, esse sarebbero parse asessuali e quasi identiche. Lei, è vero, di statura appena minore; tutti e due affusolati nella guaina di maglia bianca. Sembravano in quei cartelli, due contorni anatomici, sui quali non mancasse che tratteggiare, a lapis rosso e turchese, il cuore, i polmoni e il corso delle arterie e dei nervi. I bambini s’immaginavano che i due trapezisti fossero fratello e sorella. Le ragazze li credevano fidanzati. La gente matura credeva una quantità d’altre cose. “COPPIA X” aveva questo vantaggio, che si adattava ai vari gusti, a diverse interpretazioni.

Ma presso la bussola di velluto rosso che conduce alle scuderie, in frac da maneggio, gardenia all’occhiello, il marito della trapezista aspettava che ella avesse finito il numero, che concludeva la serata. E la bionda cassiera del circo, addizionava gli incassi e chiusi il botteghino anche lei era in attesa che la propria metà le riscendesse dal cielo, e sbirciava lassù con l’occhialetto.
Probabilmente i due trapezisti si volevano bene; benché di concreto non si potesse dir nulla. Tutti però lo pensavano, tutti l’avrebbero giurato. E d’altra parte non era ammissibile che facessero insieme quel che facevano; che mattina e sera, uno per mano all’altro, uno in bocca all’altro, si porgessero in quel modo alla morte, senza avere fra loro una specie di giuramento sacro, senza essersi perdonati con un gran perdono.

Nell’ipotesi che si volessero bene, una cosa era certa: che questo bene non lo godevano che quando erano sotto agli occhi di tutti. Erano belle anche le loro mattine, quando per l’esercitazione si ritrovavano nel circo deserto. C’era odore di fieno e di segatura bagnata, e un raggio di sole traversava pallidamente gli altissimi lucernari. Ogni tanto nel silenzio si sentiva dalle scuderie lo zoccolo di un cavallo, i palafrenieri che dicevano: pioggia, pioggia; e battevano in terra la striglia.
I due trapezisti non si parlavano quasi mai. Quando erano a terra, avevano ritegno a parlarsi, a sorridere, per via di tutti quegli orecchi, quegli sguardi. Ed entrati là, nel loro mondo, non avevano piu’ bisogno di parole. Se mai per chiedersi la colofonia.

La notte tuttavia era un’atra cosa, infinitamente più bella. Una sorta di gioia febbrile, nel quale si tuffavano di schianto, balzando l’uno contro l’altro come per avventarsi.
Tre o quattromila spettatori li tenevano nel fuoco dei binocoli. E intorno alla cupola del circo, simile a una grande lente, bianchi bianchi, soli soli, essi guizzavano nitidissimi e incredibili, come pesci che dietro a un cristallo d’acquario sembrano nuotare migliaia e miglia lontano, nell’altro versante della vita.
A volte si sarebbe proprio detto che lassù dovesse succedere qualcosa, non saprei, fuori numero, fuori programma. Mentre la gente tratteneva il respiro, e le signore più sensibili cercavano la mano di chi le accompagnava.
Pareva che lassù dovesse finire in un duello, in un bacio, in un’apoteosi, o in una fuga a volto dall’ultimo finestrone spalancato sulle stelle: una fuga che nell’aria attonita lascerebbe un impalpabile pulviscolo luminoso.
Ma gli urti e gli scocchi più furibondi si discioglievano in elegantissime cadenze e arricciolature di membra, in svolazzi giapponesi, botticelliani. Il pubblico acclamava, vociferava, stremato. E quelli a riattaccare insaziabili. Dagli opposti poli del circo si attiravano come saette.
O fingevano di cercarsi e cercarsi a vicenda con lente ondulazioni come d’aghi calamitati. Pareva non volessero lasciarsi staccare da lassù. Che difendessero un possesso. Come i falchi che non si decidono mai a calare.
In una direzione e in un’altra i trapezisti tornavano a casa. Si pensava al cavallo da corsa, che lo staffiere riaccompagna in scuderia, con una coperta buttata sulla groppa; e il cavallo è ancora un pò ansante e pare che senta un suolo incerto e che traballa sotto il piede nervoso.

Non tutti quelli che vagano si sono persi

[E senza dire parole nel mio cuore ti porterò]


IN COPERTINA:

Smile – Modern Times (1936)
Paulette Goddard & Charlie Chaplin
CON LE NOTE DI:
La donna cannone, Francesco de Gregori
Emilio Cecchi, Due trapezisti, 1935
© Tutti i diritti riservati

A proposito di:Lóu {2 idee 1 goccia d'enfasi}

{...} sarà inquietudine estetica, vorace istinto del nuovo per il nuovo in omaggio a un che di antico. E la forma? Mettiamo che sia la stanza a tenere tutto insieme. Intensità della vita in contrasto con l’immobilità. Prospettive. Le Nove Porte {...} é la luce ad arredare le stanze

2 commenti in “I due trapezisti” {en passant}

  1. Amen, è più bello scritto così riesco a leggere perfettamente.
    “Impegnato” volevo intendere nel senso politico. (per lo scorso commento)

    Questa volta proponi un racconto, che mi sembra all’anima “esterno” perchè racconta la trama dei due dal di fuori, sarei curiosa di un racconto di loro due misto “dentro/fuori” o da “fuori” a “dentro” come se tutto il panorama esterno riflettesse in loro qualcosa di mutevole o qualcosa di eterno sempre con narratore esterno, però.
    Vabbuò…>…> oggi è notevole il mio grado di esplicitazione.

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